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Alla ricerca del cacio perduto

  • Immagine del redattore: Elia Toni
    Elia Toni
  • 4 set
  • Tempo di lettura: 2 min

Storie di tre piccoli tesori italiani


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In Italia il patrimonio caseario è molto ricco e complesso, diviso principalmente in due gruppi: da un lato la grande industria, che rappresenta circa il 75% della produzione nazionale e dall'altro i piccoli produttori, che formano il tessuto culturale delle zone rurali, portando avanti tradizioni e salvaguardia dei territori.

Con lo sviluppo del mercato interno e dell'export, le grandi produzioni hanno avuto la meglio sulle realtà minori, portandole ad una sorta di "isolamento".

In alcuni casi, complice anche la difficoltà di mantenere processi produttivi artigianali, alcuni formaggi hanno persino rischiato l’“estinzione”. Fortunatamente, grazie ad azioni locali e al supporto di Slow Food, attraverso il programma dei Presìdi, oggi possiamo ancora gustare autentiche perle casearie che altrimenti sarebbero andate perdute.


Bagòss di Bagolino

Nel cuore delle montagne bresciane, tra fuochi vivi e pentoloni di rame, nasce un formaggio dorato. Partendo da latte crudo di Bruna Alpina, scremato per affioramento, il Bagòss di distingue per un elemento unico: lo zafferano. E' grazie ad esso che le forme prendono un colore giallo intenso e in stagionatura avanzata un sapore inconfondibile.

La maturazione è cruciale: ogni forma viene curata con attenzione per accompagnarla verso un degno invecchiamento. Il gusto evolve nel tempo, passando da note dolci e lattiche a sentori più intensi, complessi e leggermente piccanti. Tempo, artigianalità e territorio sono i veri ingredienti di questa eccellenza.


Montébore

Se parliamo di formaggi unici, non possiamo dimenticare il Montébore, che con la sua forma "a torta nunziale" risalta sui banchi delle migliori formaggerie italiane. Nato nelle valli alessandrine, questo prodotto ha vissuto una rinascita negli anni '90: infatti, dalla creazione in epoca medioevale, la storia di questo delizioso formaggio stava per interrompersi durante la Seconda Guerra Mondiale con lo svuotamento delle valli. Nel 1999 però una collaborazione tra Slow Food e Carolina Bracco, una delle ultime depositarie delle tecniche produttive, sancì una nuova alba per questo formaggio. Oggi, come allora, il Montébore viene prodotto con latte crudo vaccino e ovino, formando dischi di dimensioni crescenti che poi vengono impilati per creare la sua iconica struttura.


Pallone di Gravina

Tra i formaggi più affascinanti del Sud Italia troviamo, nel cuore della Murgia, il Pallone di Gravina. Questo formaggio a latte crudo vaccino è un ottimo esempio di tradizione contadina legata alla produzione delle paste filate.

La sua forma sferica, priva di testina, lo distingue dal più noto caciocavallo.

Fresco, offre note dolci e burrose; con la stagionatura, invece, sviluppa un carattere erbaceo e accenti piccanti, conquistando palati alla ricerca di intensità.


Il panorama caseario italiano è un patrimonio straordinario, che porta con sé storie, cultura e identità locali. Perché queste gemme continuino a vivere, serve consapevolezza da parte dei consumatori, che attraverso le proprie scelte possono sostenere i piccoli produttori e garantire un futuro a queste eccellenze.

 
 
 

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